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Mar, 2021

Harambee!, la bellezza di “seminare” insieme, riflessione sulla realtà educativa in Kenya – di Suor Carla Borga

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L’Africa è un paese di grandissima bellezza ma con molte contraddizioni al suo interno: dalla grande maestosità della natura si passa alla grande povertà dell’uomo, sia economica che morale.

Noi, Figlie di San Giuseppe, siamo arrivate in Kenya, Sirima nel 2002 in una zona della savana a 240 km da Nairobi, e dal 2007 abbiamo aperto una nuova missione in Olepolos-Embulbul a 30 Km da Nairobi; circa 400.000 abitanti dove viviamo la realtà della periferia:

- il 68% sono donne single con la media di 3-6 figli ciascuna;

- il 70% vive in coabitazione: si sta insieme per una convenienza economica anche se solo per poche settimane, poi si cambia e i bambini seguono questi continui spostamenti oppure questi “nuovi papà” che arrivano in casa. Non viene chiamata prostituzione perché è frutto di una realtà sociale e di un bisogno della donna di protezione, di aiuto, di poter sfamare i propri figli;

- il 40% degli abitanti sono i più poveri dove l’uomo è in crisi e non trovando lavoro per sostenere la famiglia, abbandona la donna lasciandola sola con tutti i figli oppure si “allontana” dalla situazione rifugiandosi nell’alcool, nella droga. I figli fin da piccoli passano le giornate tra le strade (la loro vera ‘casa’);

- il 24% delle donne (tra i 13 e i 35 anni) subisce la mutilazione genitale femminile (pratica da anni proibita per legge);

- c’è un diffondersi di immoralità e le ragazze/bambine, quando raggiungono i 9-12 anni, iniziano ad avere un “sesso attivo”, è una fonte economica…. ‘diversa’.

- sono presenti 28 gruppi etnici nella nostra zona rispetto i 43 gruppi etnici ufficiali presenti in Kenya.

D’impatto si coglie la grande povertà educativa in tantissimi aspetti … ma il tema “educazione” in Kenya, tradizionalmente, è stato sempre apprezzato da ogni gruppo etnico perché l’educazione ha un ruolo vitale nel tenere insieme la società e nel preparare gli individui a prendere il posto che spetta loro in quella società. Quindi, in una realtà multi etnica e multiculturale l’educazione è un punto di unione perché considerata una via di trasmissione dei valori morali, sociali, spirituali.

Purtroppo, in questi ultimi tempi, c’è stato uno spostamento di attenzione da questo aspetto comune sull’importanza dell’educazione, al considerarla uno strumento per il progresso e la crescita/promozione del singolo perdendo il riferimento alla comunità.

La nostra comunità religiosa in questi anni si è lasciata interrogare da questa realtà che rappresenta una vera sfida educativa, e subito ha cercato di conoscere il territorio, la cultura, le persone…, tramite le visite alle famiglie più povere e mettendosi a servizio della comunità cristiana accompagnando gruppi di bambini e di giovani.

Come risposta ai bisogni della nostra realtà, nel 2010, abbiamo aperto la scuola dell’infanzia e nel 2019 la scuola elementare con particolare attenzione alle situazioni di povertà, di disagio, di miseria presenti nel territorio.

La scuola è una grande opportunità di educazione umana, sociale e religiosa per una crescita globale della persona aiutando ad impostare la vita sui criteri di rispetto, di giustizia, di solidarietà riconoscendo il valore e la dignità di ogni uomo, oltrepassando i muri della divisione e gli scontri tribali su cui spesso fanno leva i politici.

In tutto, tra scuola dell’infanzia e scuola elementare, un bambino viene seguito per circa 9 anni e questo permette di poter instaurare un dialogo aperto anche con le famiglie, in particolare con le mamme che vivono diverse situazioni di abbandono, di povertà, di poca fiducia in sé stesse e negli altri. Con progetti mirati, si cerca di aiutare anche loro ad uscire da una povertà che nella nostra zona di periferia porta ad una mentalità di rassegnazione. È una ‘catena’ che può essere “spezzata” dall’intervento educativo fatto di relazione, dialogo, stima, attesa….. e questo chiede un luogo di incontro in cui mamma e bambino si sentano accolti, ascoltati, accompagnati… si sentano a ‘casa’.

Papa Francesco sottolinea che l’educazione è una delle vie più efficaci per umanizzare il mondo e la storia. L’educazione è soprattutto una questione di amore e di responsabilità che si trasmette nel tempo di generazione in generazione. Pensiamo che il Kenya debba ritornare, certo, in modi nuovi e creativi, a quei valori tradizionali africani che sono fortemente orientati al creare comunità e alle relazioni umane, concentrandosi sul porre l’etica e i valori della fraternità al centro dell’educazione per un futuro di pace, di speranza, di unità.

Per questo è stato importante proporre un ambiente educativo, che aiuti a crescere nella disponibilità all’accoglienza, all’ascolto, al dialogo, alla convivenza, alla condivisione, all’unita`….. e l’educazione è una condizione per poter accedere ad altre dimensioni della vita: il lavoro, la partecipazione impegnata nella società, la cura della salute, la dimensione culturale….

In questo tempo stiamo facendo i conti con la pandemia da Covid che ha costretto lo scorso anno, alla chiusura delle scuole di ogni ordine e grado per 10 mesi, che ha aumentato la violenza domestica, la maternità precoce, la perdita di lavoro…. Tutto ha amplificato i tanti problemi già presenti nella società ed è una lotta non solo verso il virus che attacca il corpo, ma anche verso altre ‘malattie’ come il tribalismo, la corruzione…. che rendono malata la vera identità del popolo africano.

Ma anche in Kenya la pandemia può diventare un’opportunità per recuperare i veri valori dove l’altro è messo al centro perché è importante per tutti: il motto del Kenya infatti è Harambee che significa mettere insieme o collaborare a progetti comunitari (e anche questo significato originario dev’essere ripreso….).

È uno stile di relazione che dev’essere ripreso, rinnovato e incrementato, l’esempio lo possiamo vedere anche oggi in alcune zone rurali: è tempo di semina, e non è raro vedere gruppi di persone che insieme, seminano a mano, un chicco alla volta, nel campo di una persona tutti insieme poi si spostano per aiutare un’altra famiglia, ancora tutti insieme. Ciò insegna alla bellezza di seminare insieme, di seminare il ‘bello’ insieme e di poter affrontare insieme, nella comunità, tutte le temperie e le difficoltà che possono attaccare il singolo.

Questo cammino educativo porta verso il vero senso della fratellanza universale, è essere artigiani di pace, è l’invito che Papa Francesco fa a tutti noi: perché ciascuno di noi è chiamato ad essere un artigiano della pace, unendo e non dividendo, estinguendo l’odio e non conservandolo, aprendo le vie del dialogo e non innalzando nuovi muri.

Suor Carla Borga, dal 2008 Figlia di San Giuseppe in Kenya, ha collaborato con le sorelle della congregazione presso la scuola materna monumento ai caduti di Porcia dal 1998 al 2005 e gestito la Casa Famiglia dell’Arcobaleno fino al 2008.

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