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Apr, 2022

Essere educatore domiciliare, ponte che avvicina genitori e figli

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Spiegare cosa significa “intervento domiciliare” è un po’ difficile.
Servirebbe spazio e tempo, come quando ti incontri con un amico che non vedi da tanto per raccontare qualcosa di importante.

Il progetto GoToGheter mi sta facendo conoscere un nuovo approccio dell’essere educatori.
Entro fisicamente in casa delle famiglie e in punta dei piedi inizio a trovare il mio piccolo posto.
In ogni casa sento profumi diversi che raccontano abitudini, storie e culture.
C’è sempre un primo imbarazzo che poi svanisce piano piano tra un’attività e l’altra o i racconti di ciascuno.
Cadono certi muri ma la sfida è cercare di mantenere l’equilibrio tra il bisogno di farsi conoscere ed entrare nelle loro vite
e il rispettare la loro riservatezza e quotidianità. Arrivo sempre con delle idee, ma può capitare di rimanere in ascolto o in
osservazione di ciò che accade e così si stravolgono i piani perché a volte ci si trova davanti a qualcosa di inaspettato,
una giornata storta, un rifiuto, una richiesta di aiuto, anche qualcuno che dorme, la voglia di parlare o di giocare insieme.

Le attività educative del progetto prevedono di scattare una fotografia del vissuto di ogni minore, possibilmente insieme alla famiglia,
per poi scegliere dei desideri da realizzare insieme. Desideri che non sono altro che attività o esperienze nuove che fino a quel momento
non erano state pensate o semplicemente erano troppo fragili per uscire allo scoperto. Il coinvolgimento della famiglia è fondamentale per
camminare insieme. In alcune situazioni può essere difficile coinvolgerla, allora si cercano modalità d’interazione diverse, anche divertenti,
per riuscire a trasmettere il messaggio che non è la quantità ma la qualità del tempo trascorso insieme che determina una relazione positiva.

L’educatore domiciliare accompagna minore e famiglia ad un primo cambiamento, offre stimoli ed esperienze nuove, occasioni di riflessione, racconto e condivisione.

A volte mi capita di uscire da una casa tirando un sospiro di sollievo perché magari mi allontano da una situazione di tensione oppure nascono idee confuse.
In quel momento sento il bisogno di mettere ordine e capire come proseguire o correggere gli incontri successivi. Si vive una certa solitudine in questo.
Manca il confronto con i colleghi che normalmente in Arcobaleno vedono gli stessi ragazzi. Le chiavi di lettura possono essere diverse e soprattutto, vivendo lo stesso ambiente,
si possono comprendere meglio le esperienze e le difficoltà. In questa solitudine ho comunque la fortuna di sapere di poter tornare da qualcuno in Arcobaleno che mi ascolta e si dedica a me dandomi consigli.

In queste famiglie cerco di essere quel ponte che può avvicinare genitori e figli o offrire opportunità a quei bambini e ragazzi che sono un po’ nell’ombra. Man mano che costruiamo insieme questo percorso condiviso si avvicina anche il tempo della chiusura e allora inizio a chiedermi anche come saluterò queste famiglie che in un modo o nell’altro mi hanno accolto a casa loro, cosa voglio restituire dei loro passi fatti insieme e se davvero il tempo dedicato sarà il seme per continuare a crescere e migliorare.

Carla, educatrice

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