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Jul, 2024

L’importanza delle lingue madri e i vantaggi del multilinguismo – dott.ssa Elena Barreca

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L’urgenza e il desiderio di parlare di bilinguismo nascono da una mia esperienza personale. Nel 2021 io e il mio compagno siamo entrati in un progetto di affido diurno e abbiamo iniziato a seguire due bambini italiani (di fatto seppur, aimè, non ancora di passaporto) figli di una coppia che vive e lavora in Italia da una decina d’anni.

Avendo passato buona parte della mia vita accademica e professionale all’interno di un dipartimento di Lingue, una delle prime domande che posi agli operatori sociali, e poi ai bambini stessi, fu proprio quale fosse la loro lingua madre.

La domanda lasciò i professionisti perplessi, e nessuno seppe rispondermi: per quanto sapevano, il fratello maggiore, che da poco aveva iniziato le elementari, parlava in un italiano frammentato e poco comprensibile. Quando chiesi al bambino quale lingua parlasse con i genitori egli sbottò dicendo “io vivo in Italia, parlo l’italiano!” Nessuno dei genitori parlava l’italiano. Genitori e figli non avevano una lingua in comune.

Sebbene la situazione linguistica di questa famiglia fosse aggravata anche da altre vulnerabilità, nelle famiglie che si trasferiscono in una società linguisticamente diversa dalla propria capita spesso che genitori e figli non condividano la stessa lingua e non abbiamo mai la possibilità di dialogare in un idioma in cui sono tutti perfettamente a proprio agio.

Ma oltre a rimanere amareggiata per la situazione di questi bambini, che non potevano rivolgere ai genitori nemmeno le domande più semplici, quello che mi sorprese fu come nessuno dei tanti professionisti che seguiva la famiglia avesse considerato che l’aspetto linguistico potesse avere un posto nel progetto di assistenza. Nessuno aveva consigliato alla coppia di cercare di trasmettere la propria lingua ai figli. Nessuno aveva pensato che perdere la lingua madre avrebbe alienato ancor più i bambini dalla propria famiglia, esacerbando molte delle vulnerabilità già presenti. Nonostante l’indiscussa professionalità con la quale il progetto d’assistenza era stato gestito, l’aspetto linguistico era stato indubbiamente trascurato.

L’importanza della lingua madre per lo sviluppo cognitivo e affettivo di bambini e bambine è nota almeno dagli anni Sessanta. Non è un caso che la Convenzione dell’ONU sui diritti del fanciullo (1989) sottolinei il diritto a un’educazione che ne rispetti la lingua madre (art. 27).

Inoltre, la ricerca ha da tempo confermato che non solo l’infanzia è il periodo migliore per imparare le lingue, ma che non esistono limiti al numero di lingue che bambini e bambine possono imparare. Come dimostrato da Jim Cummings, ormai una cinquantina di anni fa, tutte le lingue che impariamo sono gestite nel nostro cervello da uno stesso “sistema centrale”. In altre parole, le abilità e le conoscenze apprese in una lingua possono essere trasferite a una lingua seconda (e viceversa). Padroneggiare e coltivare la propria lingua madre aiuta quindi il bambino a imparare una seconda o una terza lingua.

Ma indipendentemente dall’età o dal livello d’istruzione la ricerca ci dice anche che confrontarsi con altre lingue è qualcosa che arricchisce sempre: il multilinguismo fa bene, è sano, è un vantaggio! Imparare le lingue potenzia gli apprendimenti nell’infanzia e ritarda la demenza senile. Si pensi per esempio che alcune scuole d’eccellenza tedesche (come la Leonardo Da Vinci Campus di Nauen) hanno introdotto l’insegnamento dell’arabo e del cinese tra le materie a scelta nella scuola primaria, poiché è ampiamente dimostrato che cimentarsi con idiomi e alfabeti molto diversi fra loro è un grande stimolo per bambini e bambine, nonché un modo per insegnar loro le bellezze della diversità. Imparare le lingue allarga i nostri orizzonti e potenzia il nostro cervello!

Questo è ciò che ci dice la ricerca. Nelle nostre società tuttavia le bellissime potenzialità del multilinguismo vengono spesso stroncate da ostacoli enormi, come bigotteria, ignoranza, discriminazione e razzismo.

È stato infatti notato che in un contesto di bilinguismo (ovvero in un contesto dove la lingua della società e la lingua della famiglia non coincidono, e il parlante deve muoversi quotidianamente tra due idiomi) una bambina che a casa parla una lingua di prestigio (diciamo l’inglese) avrà molte più speranze di mantenerla rispetto a una bambina che a casa parla una lingua che la società considera meno prestigiosa (diciamo l’urdu).

Questo perché, un bambino che a casa parla in inglese viene incoraggiato e lodato da conoscenti e insegnanti, che magari gli chiederanno addirittura di insegnar loro qualche espressione; un bambino che a casa parla l’urdu viene fatto sentire in difetto, viene considerato “diverso”, inizia a vergognarsi della lingua materna, e smette di parlarla.

Succedeva la stessa cosa, per fare un esempio, nell’Australia degli anni Cinquanta, dove emigrò la mia amata prozia: i suoi figli non vollero mai parlare in italiano perché a scuola venivano discriminati per le loro origini. Mia zia non imparò mai fluentemente l’inglese perché non è sempre così facile imparare fluentemente una nuova lingua da adulti (soprattutto se lavori tutto il giorno in una fabbrica con altri migranti). Quando andai a trovarla mi ritrovai a fare da interprete tra lei e la nipote che, cresciuta lontano dalla nonna, non riusciva a capire né il suo inglese stentato né tantomeno il suo italiano.

Sono passati molti decenni dalle peripezie della mia amata prozia, ma siamo ancora ben lontani da una situazione in cui tutte le lingue vengano valorizzate e apprezzate: nelle scienze sociali si parla appunto di discriminazione linguistica, una delle tante appendici del razzismo strutturale che caratterizza la nostra società.

Oggi, in Italia e non solo, sono ancora moltissimi i genitori che, spesso mal consigliati, rinunciano a parlare la propria lingua con i figli, ricorrendo invece alla lingua maggioritaria (i.e. quella parlata dalla società in cui vivono, nel nostro caso l’italiano). Come sono moltissimi i bambini e le bambine che a scuola vengono fatti sentire in difetto perché a casa parlano un’altra lingua. I danni cognitivi e affettivi di tutto questo sono enormi.

Nella prima infanzia, la lingua gioca un ruolo fondamentale nello sviluppo cognitivo del bambino. Un bambino esposto a un codice povero (come per esempio un bambino con cui i genitori decidono di parlare una lingua che stanno loro stessi imparando) viene privato di uno stimolo cognitivo qualitativamente adeguato (come quello che riceverebbe se il genitore parlasse con lui o lei nella propria lingua, ovvero in un codice ricco di vocaboli, modi di dire, canzoni, proverbi e affetti che raramente sono presenti in una lingua seconda).

Vi è poi il problema affettivo: una bambina che non ha avuto l’opportunità d’imparare la lingua dei genitori non potrà, per esempio, comunicare con la famiglia estesa (e talvolta con i genitori stessi), e questa cesura generazionale avrà un peso enorme nel suo sviluppo identitario e personale.

Cosa fare allora? I progetti a sostegno del bilinguismo sono molteplici. Nel 2017 UNESCO ha lanciato una campagna per sostenere la scolarizzazione di bambini e bambine nelle proprie lingue madri (il programma Mother-tongue based multilinngual education). La Guida PEaCH, che assieme alla dott.ssa Gasparotto ho avuto modo di presentare all’Arcobaleno lo scorso dicembre, fornisce una base teorica e delle indicazioni pratiche per le famiglie e gli educatori di bambini e bambine bilingui. Si tratta del lavoro di una squadra di ricercatori entro un programma finanziato dall’Unione Europea. In Italia, il lavoro di Graziella Favaro e il suo Manifesto della lingua madre assieme alle iniziative di Alessandra Sorace e del progetto Il bilinguismo conta dell’Università di Trento sono altri esempi di eccellenze italiane. Inoltre, nel 2016 l’Università per Stranieri di Siena ha lanciato il progetto L’Altroparlante: didattica plurilingue nella scuola primaria che mira a promuovere e diffondere nelle scuole pratiche didattiche di translanguaging per la valorizzazione e l’uso di tutte le lingue in classe (progetto premiato con il Label Europeo delle Lingue 2018).

Far capire a bambini e bambine che la lingua materna è importante significa riconoscere che la loro famiglia è importante e quindi, di riflesso, che anche loro sono importanti. Per valorizzare la diversità linguistica bastano piccoli gesti, una domanda (“Come si dice questo nella lingua della tua famiglia?”), un cartellone (“Scriviamo tutte le lingue parlate nel nostro gruppo!”), un disegno (il cosiddetto ritratto plurilingue). Sono piccoli gesti simbolici che mandano un grande messaggio: la tua lingua di famiglia può convivere con la lingua di questa società, qui c’è posto anche per lei, qui c’è posto anche per te!

Dott.ssa Elena Barreca
Master in Lingue e letterature postcoloniali, Università Ca’ Foscari di Venezia
Dottorato in Lingue, letterature e culture in contatto, Università G. D’Annunzio di Chieti-Pescara
elena.barreca@unich.it
info@elenabarreca.com
+ 39 3283325185

Per approfondimenti e materiali
https://bilingualfamily.eu/it/
https://www.mammalingua.it/
https://r1.unitn.it/bilinguismoconta/
https://cluss.unistrasi.it/1/116/153/L-AltRoparlante.htm

Si veda anche
Carbonara V., Scibetta A. (2020), Imparare attraverso le lingue. Translanguaging come pratica
didattica, Carocci, Roma.

Dott.ssa Elena Barreca
Master in Lingue e letterature postcoloniali, Università Ca’ Foscari di Venezia
Dottorato in Lingue, letterature e culture in contatto, Università G. D’Annunzio di Chieti-Pescara
elena.barreca@unich.it
info@elenabarreca.com
+ 39 3283325185
Per approfondimenti e materiali

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